Sì, lo so. Giuro, ne sono consapevole. La tavola di Pasqua non è il luogo ideale per affrontare discorsi sui grandi interrogativi che l'uomo, dalla notte dei tempi, pone a se stesso e/o ad una fantomatica Entità superiore. Però, concedetemi almeno questo, un contegno bisogna pur darselo. Almeno fino a quando gli ettolitri di vino non prendono pieno possesso di ogni vaso linfatico presente nel vostro corpo. Vedo annuire. Bene, qualcuno è d'accordo.
Dunque, ricevo l'invito a trascorrere la Pasqua in campagna: nugolo di persone (con alcune, pur conoscendole da anni, ho a malapena scambiato un cenno di saluto e un augurio di serene festività), confusione, attese interminabili e costante sensazione di inquietudine di fondo.
Questa volta, non mi è stato proprio possibile declinare e quindi, armata di sorriso e accompagnata da fedele cagnolino, faccio il mio ingresso in quella rustica cornice.
Per qualche incomprensibile motivo, forse rintracciabile negli studi condotti da Darwin sull'evoluzionismo, finiamo sempre col disporci a tavola secondo rigidi quanto elementari schemi: le donne da un lato i maschi dall'altro.
Memore di altri convivi con le stesse persone, in un attimo di preveggenza (o in un semplice slancio di autoconservazione), ho l'istinto di rompere questa vetusta e consolidata abitudine e porre la mia seggiolina nel reparto maschile. Qualcosa nel mio piano però deve aver vacillato, perchè qualcuna, letta forse nei miei occhi la blasfema intenzione, mi riporta all'ordine con un cinguettante: "Tu siedi accanto a me, vero?". Un sorriso colpevole ed un lieve cenno del capo firmano in quell'istante la mia condanna.
Prendo posto accanto all'adorabile fringuello che ha posto fine ai miei disegni eversivi ed il pranzo ha inizio.
Ora, solo la mia mente contorta e poco reattiva ha ben chiaro che in queste occasioni si mangia? Cioè, sono davvero l'unica che se viene invitata ad un pranzo si aspetta effettivamente di mangiare? In quella circostanza, a quanto pare, sì.
Appena il primo piatto fa la sua comparsa, nel gineceo ha inizio un'incessante e fastidiosa sequela di "Oddio, è troppo! Non riuscirò mai a finirlo tutto" oppure "No aspetta, dividiamolo." ma anche "Ed io cosa ci faccio con tutta questa pasta?".
Tralasciando volutamente la più sentita delle risposte a quest'ultimo interrogativo, ho dato un'occhiata a quello che mi veniva messo davanti: fusilli al sugo. Un normalissimo, banalissimo piatto di fusilli. Badate bene: un piatto. Non un calderone o una pignatta. Un piatto e non certo pieno fino all'orlo.
Alzo il mio sguardo perplesso sulla fauna femminea che mi circonda e, assumendo l'aria interrogativa di Bambi alle prese con le sue zampette malferme sul ghiaccio, inizio a guardarmi intorno alla ricerca di un minimo segnale di meningi funzionanti. Nel far questo i miei occhi incrociano quelli di un'altra ragazza, anche lei evidentemente attonita di fronte a questo spettacolo francamente desolante. Ci sorridiamo, alzando un sopracciglio in segno di intesa. Meno male, non sono sola!
Volgendomi ulteriormente do un'occhiata al settore maschile dove qualcuno, evidentemente ignaro dello psicodramma in atto alle mie latitudini, sta già alzando il piatto in aria cercando il bis. Sono sicura che John Gray abbia preso spunti anche da uno di questi pranzi per i suoi lavori.
Ritorno quindi al mio simpatico piatto, prendo la forchetta ed inizio a gustare quanto mi è stato servito. Al terzo boccone, le mie orecchie iniziano a percepire parole che dovrebbero essere bandite da ogni occasione mangereccia: dieta e chili.
Concentrandomi ancora di più sulla mia pietanza, evitando accuratamente di alzare lo sguardo ( non sia mai venga interpretato come un invito a proseguire l'interessante discussione), cerco di assaporare senza lasciarmi distrarre da quel chiacchiericcio. Fatica inutile. L'argomento ha preso piede, ormai non c'è più scampo...
Rassegnata, ma ostinata a non lasciarmi trascinare in questa conversazione dedico tutta la mia attenzione al manicaretto (che sinceramente, detto tra noi, mi sembrava ben felice di attendere al compito che gli era stato assegnato: essere mangiato da me), tendo l'orecchio all'ascolto del seminario che ha preso il via intorno a me.
Infatti, messa da parte con sdegno la vivanda, si è aperto un dibattito sulle rispettive abitudini alimentari, sui modi per capire quando effettivamente si è fuori forma, sul giusto rapporto tra altezza e peso fino ad arrivare ad una simultanea esposizione di avambracci per testare la tonicità della parte presa in esame. Insomma, roba da National Geographic ( o da ricovero coatto. Fate voi, io non voglio influenzarvi).
A quanto pare, sono diverse le strategie che è possibile mettere in atto nella vita quotidiana per evitare di accumulare peso, alcune già lungamente conosciute: ridurre le porzioni, fare movimento, bere molto prima dei pasti, non sedersi mai completamente affamati e via dicendo.
Quella che mi ha lasciata un pò basita è invece la soluzione adottata da una delle presenti: la donzella in questione, affermava infatti che per evitare di mangiar troppo, si limitava a comprare solo alimenti che non erano di suo gusto. No, dico, si può arrivare a tanto?? Ma neanche la Santa Inquisizione annoverava la cosa tra le tecniche di tortura consentite!
A questa affermazione non ho potuto non alzare lo sguardo verso colei che l'aveva esternata (anche perchè, lo ammetto, avevo ormai terminato la mia porzione). Errore!!
La fanciulla in questione, del peso di circa 50 kg, proprio in quel momento stava per lanciarsi in una delle frasi destinate a restare negli annali dell'idiozia: "Io, per esempio, sono ingrassata troppo, dovrei perdere almeno 7 o 8 kg!!"
A quel punto mi sono trovata di fronte ad un bivio. Ardua era la decisione. Far notare a tutte le presenti che, a parte il fuscello parlante, nessuna di loro mi sembrava sull'orlo dell'anoressia e che quindi, in fondo in fondo, seppur nell'angolo più remoto delle loro casette qualcosa ogni giorno la ingurgitavano ( e non sempre in porzioni da cardellino), esponendomi però a sguardi di disapprovazione e a qualche luccicone o alzarmi e lasciare che beatamente proseguissero in quel vortice di pochezza e vacuità? Ho optato per la seconda soluzione. Fingendo (?) un'irrefrenabile voglia di sigaretta mi sono alzata per recarmi fuori a fumare. Rintracciato il mio cagnolino, che intanto se la spassava tranquillo, mi sono goduta le sue coccole prima di tornare dentro.
Inutile dire che, una volta rientrata e constatato che l'argomento non era cambiato di una virgola, fingendo interesse per i pezzi d'agnello capitati nel versante maschile ho preso la mia sedia e mi sono trasferita lì. Non prima di aver lanciato un'occhiata complice all'altra sventurata che lesta ha seguito il mio esempio.
Che dire, mi è toccato sorridere a qualche battuta decisamente idiota, ma volete mettere la soddisfazione di poter addentare un pezzo di uovo al cioccolato senza sentirmi ricordare che il maledetto, nel giro di poche ore, farà la sua ricomparsa sul mio fondoschiena??
lunedì 5 aprile 2010
Santa pazienza, vieni a me!
Pasticciato da Greta alle 20:07
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2 commenti:
we, arrivo qui dal blog del chiacchierario :) a parte l'ormone, c'è un motivo per cui a pranzo preferisco essere con molte donne: loro vogliono sempre porzioni ridotte per cui avanza più roba per chi non è a dieta XD
ahahahah ciao Marco! Allora ti auguro di non capitare mai accanto a me... non vorrei essere costretta a litigare per l'ultimo pezzo di agnello!! ;D
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